Storia

Vocazione all’accoglienza

di Flavia Vaudano Rovello

 

L’antico convento dei carmelitani, con i suoi muri segnati dal tempo, con i suoi ricordi ben stretti nel cuore dei vecchi pinesi, in affanno di età, di pensieri, di vita, è ancora lì, adagiato sul Pinariano: con i suoi segreti di porte e finestre spalancate o richiuse sugli echi, i ricordi, le voci di aiuto, i grazie commossi, le zuppe fumanti, il calore del fuoco, l’approdo-rifugio, il rapporto di amore – insomma – con il paese, con i viandanti, con gli affamati, con i fuggiaschi, con i morenti. Oggi pareti sbeccate, tetti disfatti, pavimenti ondeggianti: tutto sospeso nel tempo e nell’incertezza, ma sempre in attesa di rinascere ancora alla vocazione paolina di una charitas indomita e forte, che sa strappare alla povertà, alla solitudine, alla sofferenza innocente il nuovo povero dell’umanità ferita, l’abile alla vita in modo diverso, inconsueto e difficile, il forestiero lontano, respinto, ignorato.

 

Perché questo antico convento, questa comunità di memorie può rivivere oggi e rinnovarsi nella vocazione di accoglienza, di sostegno, di affetto, di aiuto per i figli più fragili e incerti nell’affrontare il cammino dei giorni. Da secoli queste pareti, questi corridoi, questi alti soffitti hanno assorbito e annotato le tracce di accadimenti e persone, i fatti del quotidiano, l’attenzione e passione di tanti (frati, sacerdoti, suore) per l’altro a cui fa inciampo la necessità e il bisogno.

 

Tutto inizia nel lontanissimo 1490 con il carmelitano Padre Gabriele Rechiuso da Buttigliera d’Asti: con Padre Alberto da Mombellis e frate Gregorio da Virle, attraverso il fratello Padre Provinciale dell’Ordine, chiede al vescovo di Torino, il Cardinale Domenico della Rovere, di insediare sul Pinariano un convento di ospitalità dei religiosi e dei viandanti. Papa Leone X, con bolla del 16 settembre 1521, riconosce e conferma questa istituzione: sarà preziosa negli anni successivi per il sollievo dei pinesi e dei chieresi che si trovano su terre di conquista francese (1536), tedesca (1538), spagnola e di nuovo francese (1551), vittime di spoliazioni, carestie, pestilenze, inondazioni. A tutti il convento offre riparo e pane. Nel 1585 l’attigua chiesa diventa parrocchia e il convento risulta insufficiente a risolvere i moltiplicati problemi della allargata comunità: iniziano ventennali lavori di ampliamento e non viene mai meno la solidarietà con il territorio; viene aperta una porta per l’ingresso “dei civili”. L’attività benefica dei carmelitani è sempre più conosciuta; intanto il convento viene consolidato nel 1640 e nel 1653 ampliato, forse dal celebre architetto Padre Andrea Costaguta, consigliere del duca Carlo Emanuele II.

 

Nel 1704 si registra un’ulteriore ristrutturazione, opera del carmelitano Paolo Gambaldo da Solbrito, considerato il vero “padre” di questo convento. Il 23 gennaio del 1694 in una stanza del nostro edificio nasce il Comune di Pino, posto sotto la protezione di S. Andrea Corsini, come la Parrocchia. Alle Tavernette (oggi bivio dell’Eremo) i primi abitanti della nuova comunità civile vivono della carità del convento, rifugio anche per le vittime dei tanti briganti di strada, vagabondi e assassini che infestano e infesteranno per anni la collina.

 

Tra il 1675 e il 1713 il “Mastro da muro” Francesco Peghino presenta e dedica a Vittorio Amedeo II di Savoia un progetto-disegno su rame per una ricostruzione completa di convento e chiesa sul modello dei tanto apprezzati Sacri Monti. Non se ne fa nulla; una ricca documentazione (custodita all’Archivio di Stato di Torino) ci dà tuttavia conto della costante attività di beneficenza del convento, che si è dotato nel frattempo di una foresteria vera e propria, di una casa agricola, di una panetteria. È sempre aperto a chi cerca aiuto spirituale e materiale e trasforma in carità silenziosa e continuata ogni possibile rendita ricavata da vigne, terreni affittati, cascine, case, persino prestiti, ottenuti “graziosamente” da dame e damigelle facoltose della zona (in conto investimenti ultraterreni).

 

All’epoca il convento ospita anche la prima scuola maschile di Pino (affidata a un padre carmelitano per 150 lire all’anno) e l’archivio dei documenti comunali (gli Ordinati); si apre così un nuovo filone di carità, quello destinato al dono della cultura e dell’esercizio della legalità, del riconoscimento della valenza etica dei valori civili. Inutile ricordare come si continui il servizio sociale alla comunità pinese: per molti anni il Comune rinuncia alla istituzione della Congregazione di carità, visto il ruolo assunto in materia dal convento (le cronache del 1730 ricordano anche il nome – Bartolomeo Carocio – di un assistito) e il peso dei benemeriti carmelitani nell’azione di contrasto alle devastazioni provocate dalle guerre di successione di Polonia e d’Austria (1734-38 e 1742-48), dalla grande carestia seguita al terribile 1734 segnato da 12 mesi di siccità assoluta (i pinesi potevano mangiare soltanto erbe bollite senza sale), dall’incendio del 1759, dalle micidiali grandinate del 1759 e del 1761, dalle carestia del 1763, del 1816 e del 1817. Continuava a funzionare ininterrottamente l’osteria carmelitana, ospizio dei viandanti e la casa dell’Ordine chiamata “la panetteria” (1796).

 

Abbiamo già fatto cenno all’ospitale accoglienza del convento, per la gente comune e per i personaggi altolocati. Ne usufruisce nel maggio 1630 Maria Cristina di Francia, moglie del principe ereditario Vittorio Amedeo: con il suo seguito sfugge alla peste rifugiandosi a Pino, terra ancora immune dal contagio e tradizionalmente garante di buona salute (per tre anni consecutivi nessun medico varca la soglia del convento).

 

Altri ospiti spinti a Pino dal terrore della peste: i membri della Camera, Caterina Fresia, moglie del segretario di corte Vibò, alle ultime settimane di gravidanza (il 27 settembre nascerà Michele Antonio, futuro arcivescovo di Torino); nel luglio 1691 è ospite del convento di Pino Eugenio di Savoia, nell’ottobre 1703 il duca Vittorio Amedeo II; e via via, scalando nel tempo, i carabinieri francesi (17 maggio 1799), famosi carmelitani Priori del Piemonte (Padre Alberto Maria Avogadro), teologi (Padre Angelo de Maccabei), vicari generali (Padre Agostino Craveria), arcivescovi illustri (Francesco Lucerna Rorengo di Rorà), don Bosco, Silvio Pellico, Carlotta Marchionni e la cugina Gegia. Nel 1802 l’editto napoleonico di St. Cyr, con la soppressione degli ordini religiosi, sottrae il convento ai carmelitani: i locali diventano di proprietà comunale e sono – ancora una volta – messi al servizio della comunità. Nel 1847 in parte diventano alloggio parrocchiale. Ospitano anche la scuola comunale.

 

Nel 1885 vengono affidati alle mani generose delle Suore del Cottolengo che si impegnano per anni, oltre cento, nel servizio a chi conta di meno con l’asilo e con l’istituto di riposo dei vecchi pinesi; nel 1933 parti dell’ex convento vengono ufficialmente restituite alla parrocchia. Continua ancora la sua funzione di “casa” dei pinesi e dopo la partenza delle amate Suore Cottolenghine (poche e troppo anziane per continuare la cura degli altri), diventa in parte sede di associazioni di volontariato e di aggregazione sociale. Di nuovo il convento fa valere la sua vocazione di accoglienza. È nel cuore dei pinesi, di tutti i pinesi, la speranza di una possibile continuità con questo itinerario di storia, di cronaca, di radici della memoria, di amore per le persone in difficoltà che, perse per il mondo – come dice Ernesto Olivero – possano continuare qui a vivere la pienezza della loro vita e a sentire il calore dell’affetto di un intero paese.